Asociación para el estudio de temas grupales, psicosociales e institucionales

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L´incontro tra Psicosocionalisis italiana e Gruppo Operativo. A. Galletti


L’incontro tra Psicosocioanalisi italiana e Gruppo Operativo 

Aurelia Galletti

 

Abstract

Dopo un breve cenno alla storia della psicosocioanalisi italiana a partire dalla socioanalisi inglese di E. Jacques per giungere ai contributi di F. Fornari e L. Pagliarani si presenterà il modello della Psicosocioanalisi italiana (PSOA) esemplificato nella “Finestra PSOA”. Negli anni ’80 la psicosocioanalisi incontra la psicoanalisi argentina di J Bleger ed E. Pichon Riviere e altri e la teorizzazione del “gruppo operativo”. Nella relazione verrà presentato come i concetti di posizione glischrocarica, di lavoro clinico con le parti psicotiche, di teoria del vincolo, di stereotipo, di compito, di ostacolo epistemologico, di emergente che determina il timing e di processualità pre-compito, compito, progetto vengono utilizzati nell’approccio psicosocioanalitico.
 

 Abstract

Después de unas breves indicaciones sobre la historia del psicosocioànalisis italiano a partir del  socioanalisis inglés de E. Jaques para llegar a los aportes de F. Fornari, L. Pagliarani, de los autores de la complejidad y de los estudios sobre organización, se presentarà el mòdelo del Psicosocioànalisis italiano (PSOA) ejemplificado en la "Ventana PSOA". En los años '80 el psicosocioànalisis encuentra el psicoànalisis argentino de J. Bleger, E. Pichon Rivière entre otros, y la teorizaciòn  del "grupo operativo". En el informe se presentará como en la orientación psicosocioanalitica se utilizan los conceptos de posiciòn glischrocarica, tarea clínica con las partes psicoticas, teoria del vìnculo, estereotipo, tarea, obstáculo  epistemológico, emergente que define el timing y de proceso pre-tarea, tarea, proyecto.
 
In questa relazione cercherò di raccontarvi la storia di un incontro: quello della ricerca psicosocioanalitica con alcuni autori della psicoanalisi argentina. Non è stato un incontro casuale, perché, se come sostiene Vinicio de Moraes, la vita è l’arte dell’incontro, credo che all’interno dell’associazione italiana di psicosocioanalisi abbiamo cercato sempre di coltivare quell’arte, attraverso una continua riflessione sul nostro operare in ambito clinico e formativo che ci poneva di fronte a domande che non trovavano risposta nel già noto e stimolavano la ricerca.
Questo incontro ha dato vita ad una ibridazione come diceva il nostro fondatore Gino Pagliarani, ibridazione che forse, come ogni ibrido assomiglia ad entrambi i genitori ma è anche qualcosa di diverso. Non riteniamo di aver tradito lo spirito degli autori che ci hanno ibridato o fecondato se è vero quanto Elena Petrilli ci disse di Pichon Rivière che cercava  i punti matrimoniali delle teorie.

La psicosocioanalisi comincia a diffondersi in Italia  grazie alla ricerca di Luigi Pagliarani, psicoterapeuta di formazione psicoanalitica, che, inizialmente insieme a Franco Fornari e poi con un gruppo di altri terapeuti e formatori, si interroga sulla possibilità di applicare gli strumenti di indagine e di intervento della psicoanalisi, non solo al singolo individuo, ma anche ai gruppi e alle istituzioni, a quella  polis che insieme alla psicoanalisi ha sempre rappresentato l’altra sua grande passione. Sulla base di questa domanda incontra la socioanalisi inglese del Tavistock Institute  e l’esperienza di H. Brown ed E.Jaques alla Glacier Metal Company. Da questo incontro, dalla riflessione su psicoanalisi e socioanalisi, dalla riflessione su alcune esperienze significative in ambito istituzionale (con Fornari il lavoro su un ospedale) e sul sociale più ampio, (gruppo anti H e Istituto di Polemologia), nasce la psicosocioanalisi il cui modello è stato rappresentato da Pagliarani nella “Finestra psicosocioanalitica”:


Fig. 1


In essa vengono distinte quattro aree di intervento della clinica corrispondenti a quattro vertici di aggregazione e possibile osservazione delle esperienze umane.
 Luigi Pagliarani (1990), nell’introduzione al “Glossario di Psicoterapia progettuale”, illustra le quattro aree in questo modo:

• “Genitus: la condizione di figlio, di generato, messo o venuto al mondo (condizione che ci rende tutti uguali e nello stesso tempo vede ognuno come un unico; il riquadro è evidenziato, rispetto agli altri tre, perché da questa condizione originaria dipende tutto il resto e per tutta la vita).
• Globus: il gruppo di ogni dimensione e natura.
• Faber: l’individuo singolo operante.
• Officina: alla latina, è il gruppo co-operante in tutti i sensi, e non solo nel significato restrittivo che ha oggi il vocabolo nella lingua italiana.

Il quadrato, guardato orizzontalmente, coi settori 1 e 2 (Genitus e Globus) evidenzia il mondo degli affetti, delle emozioni, delle angosce, dei fantasmi affrontato dalla psicoanalisi (Genitus: psicoanalisi individuale o, meglio, duale; Globus: psicoanalisi di gruppo, gruppo analisi). Mentre coi settori 3 e 4 (Faber e Officina) si evidenzia il mondo dell'operatività, del fare, del produrre affrontato dalla socioanalisi (Faber: consulenza socioanalitica nella gestione del ruolo di una persona; Officina: intervento socioanalitico nell'istituzione secondo l'accezione più larga del termine).
Guardato verticalmente, il quadrato coi settori 1 e 3 evidenzia il mondo al singolare, dell'individuo, mentre coi settori 2 e 4 il mondo al plurale, della società. Stando alle persone del verbo, 1 e 3 riguardano Io, Tu, Egli; 2 e 4, Noi, Voi, Loro.
La figura, vista staticamente, si presenta come una gabbia. Ogni casella è chiusa e ferma. Il trattamento psicosocioanalitico consiste nell'aprire i settori, nell'inserire una porta (da aprire o da chiudere) nella «parete», introducendo dinamismo tra questi spazi col risultato di espandere la vita - affettiva e operativa - della persona e del gruppo (istituzione, società, cultura vigente), superando i vissuti e le resistenze che appesantiscono la situazione attuale, in modo che venga gestita secondo la sua realtà effettiva. Esempio: una cattiva gestione del ruolo da parte di Faber viene sanata e restituita a una efficace e realistica funzionalità in virtù di un'esplorazione - lunga o breve, comunque brevior, più breve, la più breve possibile - in Genitus; idem per Officina, invitata a esplorarsi in Globus. L'efficacia - e la necessità - di un tale approccio si può apprezzare considerando una situazione di lavoro istituzionale - Officina - in cui il numero dei membri, addestrati e allenati a interrogarsi dal vertice di Genitus ogni qualvolta vivano difficoltà in Faber, sia piuttosto alto. (…)»

In sintesi, la figura - dinamicamente trasformata  - diventa quella di figura 2.
Fig. 2

«I vettori della parte centrale della finestra – prosegue L. Pagliarani – segnalano l'andirivieni nel tempo tra uno spazio e l'altro, a seconda del processo in corso. Degno di nota è che tale approccio rifonda la connessione dei due verbi amare e lavorare ritenuti capitali dal primo Freud, ma poi scissi al punto che la letteratura psicoanalitica sul lavoro antecedente a Jaques, è insignificante; indicativa, e legittimante, è altresì la circostanza che vede l'ultimo Bion, tornato a pensare e a indagare sui gruppi e sul potere, formulare la necessità di una psicosocioanalisi. Questa convergenza tra scuola inglese e scuola italiana risulta ulteriormente avvalorata dagli approdi cui è pervenuta autonomamente la scuola neolatina che con Pichòn-Rivière in La teoria del vincolo è andata oltre Freud e la Klein».

Le obiezioni fondamentali che ci venivano rivolte erano due:

1) Non si capiva in che cosa la psicosocioanalisi differisse dalla psicoanalisi o da una psicoterapia psicoanalitica dal momento che anche queste si occupavano anche dei problemi di lavoro, di gruppo e sociali  che l’individuo o il gruppo presentavano nel corso del  lavoro psicoanalitico o psicoterapeutico;
2) Gli interventi di consulenza al ruolo (tranne che per la supervisione) o di analisi istituzionale e di formazione non appartenevano al campo psicoanalitico ma a quello della formazione o della sociologia.

Alla prima obiezione rispondevamo che la differenza consisteva nel fatto, che  solo dopo l’analisi della domanda noi decidevamo in quale quadrante della finestra situarci. Questo fatto comportava una serie di conseguenze: significava prima di tutto regolare sulla domanda del paziente o del gruppo o dell’istituzione l’ assetto interno del terapeuta/formatore e sulla base di questo poi proporre e disporre il contratto e il setting col paziente/cliente. Da questo sarebbero conseguite le caratteristiche del processo terapeutico/formativo soprattutto relative al se e quanto esplicitare, delle interpretazioni del latente che venivano comunque formulate ed utilizzate dal terapeuta/formatore al proprio interno, ma anche a quanto di didattico e pedagogico (intesi come parti attive del terapeuta/formatore) potessero essere utilizzate quando il contratto si inquadrava in una delle parti basse della finestra; e, per quanto ogni quadrante fosse  strettamente connesso con gli altri e rendesse possibili ed auspicabili incursioni negli altri quadranti, ciascuno aveva tuttavia una specificità che lo rendeva irriducibile agli altri e che richiedeva al coordinatore un diverso specifico comportamento.

Alla seconda obiezione rispondevamo che consulenza e formazione, era vero, erano state un campo di lavoro poco frequentato dalla psicoanalisi ma che potevano moltiplicare la loro capacità trasformativa se, con le dovute differenze, avessero potuto beneficiare della strumentazione psicoanalitica.
Ma spesso era difficile spiegare agli altri il nostro punto di vista.
 
Questo ci ha portato a cercare incessantemente di rendere più ostensibile e trasmissibile il nostro modello ed è all’inizio degli anni novanta che decidemmo di approfondire lo studio su quegli autori o filoni, che più di altri ci sembravano offrire risposte nuove a quanto andavamo cercando. Formammo 3 gruppi di lettura e di discussione: uno sul pensiero di Bion, uno sull’epistemologia della complessità e uno su Pichon Riviere e Bleger.
Dopo un anno e mezzo di studio e ricerca ci parve di poter rileggere il nostro modello alla luce dei concetti che la teoria del vincolo e il concetto di compito ci offrivano.
I quattro quadranti della finestra, che così rappresentati potevano apparire rigidi e schematici nonostante i nostri sforzi di aprirli, di aggiungere vettori bidirezionali, di rappresentarli in modo tridimensionale,   raccoglievano quattro grandi categorie di compiti diversi, ognuno dei quali richiedeva un inquadramento diverso, un progetto di lavoro diverso, e, siccome ogni compito manifesto, per essere affrontato, richiede l’attraversamento delle ansie e delle difese che esso stesso mobilita, il compito latente, ecco che, a qualunque quadrante fosse ascrivibile il compito, esso richiedeva una competenza clinica psicoanalitica per essere affrontato secondo questa modalità.
La malattia dell’individuo, del gruppo e dell’istituzione, nel campo degli affetti o del lavoro, si configurano come blocchi dell’apprendimento, dice Pichon Rivière, dato che “apprendimento e vita coincidono”, dice F: Capra, un epistemologo della complessità, e allora, qualunque sia l’inquadramento all’interno del quale si lavora con l’apprendimento, per rimettere in moto i meccanismi dell’apprendimento, esso richiederà delle competenze psicoanalitiche. Se mai, a questo punto il problema riguarderà l’uso di queste stesse competenze, un uso che richiede una grossa capacità di padroneggiare e di calibrare gli strumenti  psicoanalitici, un uso che è regolato dall’obiettivo e dal compito.
L’obiettivo del compito è la grande bussola qualunque sia il campo del nostro lavoro in cui ci muoviamo; non solo, noi pensiamo che sia ancora più importante esplicitarlo là dove è, solitamente, dato per scontato: nel campo della psicoterapia dell’individuo e del gruppo.
Spesso i colleghi di altre associazioni, in situazioni di supervisione di gruppo di un caso clinico, di fronte alla nostra domanda “Ma quale obiettivo per quale compito ti sei posto, con questo paziente o con questo gruppo ?” ci guardano perplessi e ci rispondono “Ma è ovvio!”. E poi si rendono conto che esplicitare il compito, significa regolare l’inquadramento, ricontestualizzare il caso, operare delle scelte all’interno delle possibilità di interpretazione che non rispondono più a criteri di completezza e di esaustività della tematica sollevata dal paziente, ma che sono funzionali alla rottura degli stereotipi seguendo la linea dell’emergente, fondamentale per regolare il timing dell’intervento del terapeuta, in funzione del progetto. Questa ci è sembrata la più scientifica delle traduzioni della metafora di Pagliarani che, paragonando il lavoro psicoterapeutico a un lavoro di scavo, diceva “Solo l’archeologia funzionale all’architettura” e che perciò aveva chiamato  “psicoterapia progettuale” quella che si ispirava a questa metafora.
La teoria del vincolo è stato l’altro punto focale.
Innanzitutto noi l’abbiamo vista come l’evoluzione dei modelli  dello sviluppo e del funzionamento della mente, o, se vogliamo, delle teorie dell’apprendimento, che nella storia della psicoanalisi sono rappresentate dallo sviluppo per fasi di Freud, e dalle posizioni della Klein. Il vincolo, o legame (in italiano sono state usate entrambe le traduzioni) è una struttura che apprende  ma soprattutto che sposta l’interesse di colui che opera con questo riferimento, sulla relazione tra soggetto e oggetto della conoscenza. Anche gli psicoanalisti della relazione d’oggetto (Guntrip, Fairbairn, Winnicott), si occupano della relazione, ma comunque all’interno delle loro teorizzazioni ancora sono più importanti i poli di questa stessa relazione : il soggetto e l’oggetto. Pichon Rivière ha spostato definitivamente l’accento sulla relazione, come sistema che regola attraverso le continue retroazioni e modificazioni il grado di salute o di malattia dei poli che la costituiscono. Questo spostamento obbliga il terapeuta, qualunque sia il suo compito, a vedersi sempre dentro il sistema che egli stesso osserva (come il ragazzo del quadro di Escher “Galleria di stampe”), a relativizzare quanto va facendo, e a tener conto della complessità del sistema in cui opera e di cui è parte attiva.
Questo è tanto più vero quando abbiamo a che fare coi gruppi e con le istituzioni come sistemi di gruppi. Avere consapevolezza della complessità in cui ci troviamo ad operare, collocarsi rispetto ad essa e non compiere delle semplificazioni o delle riduzioni dei problemi che ci presenta, è una questione di etica.
Così come noi pensiamo che sia una questione di etica fare i conti con le parti psicotiche degli individui, dei gruppi e delle istituzioni così come Bleger le ha intese. E’ anche vero che prima di conoscere la teorizzazione di Bleger anche per noi era difficile vederle, o forse le vedevamo con occhi diversi senza sapere che farcene, ma ora ci rendiamo conto di quanto sia forte lo strumento analitico che Bleger ha messo a punto, e come questo ci consenta di fare i conti con una realtà molto più complessa, una realtà che con Freud era al di fuori del campo di intervento della psicoanalisi.
Ipotizzare una posizione glischrocarica precedente a quelle schizoparanoide e depressiva, significa spazzare via ogni dubbio sulla frase di Freud per cui non esiste una psicologia individuale che non sia “ al tempo stesso fin dall’inizio, psicologia sociale” (Freud S., 1921), significa affermare che all’inizio era il gruppo e che il gruppo è il vertice da cui guardare anche all’individuo e costituisce le istituzioni e le culture come sistemi di gruppi.
 La socioanalisi inglese ci diceva che le istituzioni  sono il deposito delle ansie e delle difese di coloro che le costituiscono, ma dire che sono il deposito delle parti psicotiche degli individui che le abitano è molto più forte perché significa dire che l’identità degli individui è in parte dislocata nelle istituzioni, luoghi massicci di proiezioni psicotiche, ma anche che le modalità psicotiche, intese in questo senso, sono le normali modalità di funzionamento delle istituzioni e delle culture. Questo è un aiuto fondamentale per chi lavora con e nelle istituzioni.
Sarebbero molte ancora le cose che vorrei dirvi e che mi piacerebbe discutere con voi e nello stesso tempo mi rendo conto di quanto parziale e frammentario sia stato il mio discorso, ma mi auguro di poterlo portare avanti e approfondire in altre situazioni e in altri luoghi perché la teorizzazione del Gruppo Operativo possa raggiungere un numero sempre più ampio di persone.


Bibliografia

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Pagliarani L. (1985), Il coraggio di Venere - Anti-manuale di psico-socio-analisi della vita presente, Cortina, Milano.
Winnicot D. W. (1971), Gioco e realtà, Armando, Roma, 1974.

 

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